Ma perché hai bisogno di dati?

Abbiamo tutti sentito che i dati servono per prendere decisioni informate e per migliorare la redditività degli e-commerce. Ed è vero.

Vediamo anche cosa succede se NON hai i dati:

  • non avere dati significa intanto non avere tutte le informazioni. E non avere tutte le informazioni è un navigare a occhi chiusi.
  • non sai chi sono i tuoi clienti, neanche a livello aggregato.
  • hai un’idea generica di come va il suo negozio online, ma non sapresti dire cosa sta contribuendo di più e cosa va tagliato.
  • e non capire cosa va e cosa non va ti rende rigido e incapace di stare dietro ai cambiamenti.
  • soprattutto, sei in un mondo estremamente competitivo. Se non usi i dati, gli altri li useranno.

In sintesi: i dati ti servono per evitare di navigare alla cieca.

Tl;dr Cosa contiene questa guida e per chi è

Ho pensato a questa guida come uno strumento per tutti quelli che si sono messi in gioco partendo dall’online, probabilmente aprendo un negozio su Shopify e hanno bisogno di andare oltre al “sono online, i clienti arriveranno”.

La guida è agnostica e vuole darvi una solida base prima ancora di pensare alle piattaforme Farò spesso riferimento a Shopify e Google Analytics perché sono forze trainanti per chi vuole aprire un business online.

In questa guida vedremo come i dati vengono usati per ricreare i percorsi dell’utente, con che criterio scegliere gli indicatori chiave (KPI), come leggere il comportamento dell’utente e come migliorare il proprio negozio online. Faremo anche un riferimento alla privacy online, requisito oggi indispensabile per lavorare e vendere online.

Spero che questa guida sia un motore di nuove idee e di nuove domande.


02 – Il funnel

Quindi, si tratta soltanto di calcolare un tasso di conversione?

(*totale degli acquisti / totale del traffico)100 -> per ogni 100 visite nel mio negozio quante vendite faccio

E’ un punto di partenza. Ma se pensiamo a come noi stessi navighiamo e acquistiamo online, ci rendiamo conto che da scoprire un sito, visitarlo, navigare il catalogo prodotti, superare il processo di pagamento e acquistare è un ben fare. Praticamente, c’è un percorso (funnel) in mezzo.

Il funnel AARRR, sviluppato da Dave McClure, è un modello di canalizzazione che descrive i diversi stadi del ciclo di vita del cliente. Vediamo brevemente i passaggi del funnel:

  1. Acquisizione: Questo stadio riguarda l’attrazione di nuovi utenti al tuo negozio online. Può coinvolgere attività di marketing, pubblicità e ottimizzazione per i motori di ricerca per generare traffico verso il tuo sito.
  2. Attivazione: In questa fase, l’obiettivo è trasformare gli utenti appena acquisiti in clienti attivi. Può includere azioni come la registrazione, l’effettuazione del primo acquisto o l’interazione con specifiche funzionalità del tuo negozio.
  3. Retention: Una volta che hai acquisito i clienti attivi, è importante mantenerli e fidelizzarli. Ciò implica fornire un’esperienza di qualità, un servizio clienti eccellente e offerte o promozioni personalizzate per incoraggiare gli acquisti ripetuti.
  4. Referral: La fase del referral si concentra sulla promozione del tuo negozio da parte dei clienti esistenti. Questo può avvenire attraverso il passaparola, programmi di referenze o incentivi che premiano i clienti che portano nuovi utenti al tuo negozio.
  5. Monetizzazione: Infine, l’obiettivo del funnel è generare entrate a partire dalle attività dei clienti. Ciò può includere l’aumento del valore medio degli ordini, l’introduzione di strategie di up-selling o cross-selling e la creazione di nuovi prodotti o servizi che soddisfano i bisogni dei tuoi clienti.

Il funnel AARRR è uno strumento utile per comprendere il percorso dei tuoi clienti e identificare i punti di forza e le aree di miglioramento del tuo negozio online. Analizzando ciascun passaggio del funnel e monitorando le metriche corrispondenti, puoi prendere decisioni informate per ottimizzare le performance e aumentare le entrate.


KPI, metriche e misurazioni

Un indicatore chiave di prestazione (KPI) è un valore misurabile che dimostra l’efficacia con cui un’azienda sta raggiungendo i suoi obiettivi aziendali chiave.

I KPI vengono utilizzati per monitorare le prestazioni di un’azienda nel tempo e per identificare le aree di miglioramento. Possono essere di natura finanziaria o non finanziaria e possono variare a seconda del settore e degli obiettivi specifici dell’azienda. Alcuni esempi di KPI comuni includono entrate, costo di acquisizione del cliente (CAC), valore della vita del cliente (CLV) e ritorno sull’investimento (ROI).

Esaminando e analizzando regolarmente i KPI chiave, le aziende possono ottenere informazioni dettagliate sulle loro prestazioni e prendere decisioni basate sui dati per ottimizzare le loro operazioni e guidare la crescita.

Quali sono le caratteristiche di un buon KPI

Ci sono diverse caratteristiche che possono rendere un indicatore chiave di prestazione (KPI) efficace e utile per un’azienda:

  • Rilevante: un buon KPI dovrebbe essere direttamente correlato agli scopi e agli obiettivi dell’azienda. Dovrebbe fornire informazioni significative sulle prestazioni dell’azienda e aiutare a identificare le aree di miglioramento.
  • Specifico: un buon KPI dovrebbe essere chiaramente definito e specifico, piuttosto che vago o generico. Ciò contribuirà a garantire che possa essere accuratamente misurato e monitorato nel tempo.
  • Misurabile: un buon KPI dovrebbe poter essere quantificato e misurato in modo significativo. Ciò consentirà all’azienda di monitorare i propri progressi e vedere come si sta comportando nel tempo.
  • Realizzabile: un buon KPI dovrebbe essere realistico e realizzabile, piuttosto che eccessivamente ambizioso o irraggiungibile. Ciò contribuirà a garantire che sia significativo e rilevante per l’azienda e che si possano compiere progressi verso il suo raggiungimento.
  • Tempestivo: un buon KPI dovrebbe essere rivisto e monitorato regolarmente, piuttosto che di rado. Ciò consentirà all’azienda di vedere come si sta comportando in tempo reale e apportare modifiche tempestive secondo necessità.

Concentrandosi su queste caratteristiche, le aziende possono garantire che i loro KPI siano utili ed efficaci nell’aiutare a raggiungere i loro obiettivi e ottimizzare le loro prestazioni.

I KPI nel funnel AARRR

Il calcolo del tasso di conversione è solo una delle metriche da considerare nel contesto del funnel AARRR. Sebbene il tasso di conversione fornisca un’indicazione importante sul rapporto tra il numero di vendite e il traffico generato, è fondamentale analizzare ogni fase del funnel per ottenere una comprensione completa delle prestazioni del tuo negozio online.

Oltre al tasso di conversione, puoi considerare altre metriche chiave in ciascuna fase del funnel:

Acquisizione:

  • Numero di visite al sito: monitorare il numero di visitatori unici che arrivano al tuo negozio online.
  • Sorgenti di traffico: identificare le fonti di traffico più efficaci, come le campagne di marketing, le ricerche organiche o il traffico diretto.Attivazione:
  • Tasso di registrazione: misurare la percentuale di utenti che si registrano sul tuo sito.
  • Tasso di attivazione: calcolare la percentuale di utenti registrati che completano un’azione significativa, come il primo acquisto o l’interazione con specifiche funzionalità del tuo negozio.Retention:
  • Tasso di retention: valutare la percentuale di clienti che tornano al tuo negozio online dopo il primo acquisto.
  • Valore della vita del cliente (CLV): calcolare il valore economico previsto di un cliente nel corso del tempo, tenendo conto degli acquisti ripetuti.Referral:
  • Tasso di referenze: misurare la percentuale di clienti esistenti che fanno riferimento ad altri utenti al tuo negozio online.
  • Numero di referenze: tenere traccia del numero totale di utenti che sono stati referenziati da clienti esistenti.Monetizzazione:
  • Valore medio dell’ordine: calcolare l’importo medio speso dai clienti per ogni transazione.
  • Margini di profitto: analizzare i margini di profitto per determinare la redditività delle vendite.

Monitorando queste metriche in ogni fase del funnel, puoi identificare le aree di miglioramento e sviluppare strategie specifiche per ottimizzare le prestazioni del tuo negozio online. Ricorda che il funnel AARRR è un modello flessibile e puoi adattarlo alle tue specifiche esigenze aziendali.


La raccolta dei dati

Il dato web (gli esperti IT lo chiamano click-stream) è, in tutta onestà, l’informazione più grezza e asettica che potete immaginare.

Aprendo questo sito, aprendo una pagina, questa è l’informazione che viene inviata:

v=2&tid=G-NFW03BEXDC&gtm=2re1i0&_p=556166493&gcs=G111&gcd=G101&adr=0&cid=566783201.1672857057&ul=it-it&sr=1920×1080&_rnd=185119471.1674495863&uaa=arm&uab=64&uafvl=Not_A%2520Brand%3B99.0.0.0%7CGoogle%2520Chrome%3B109.0.5414.87%7CChromium%3B109.0.5414.87&uamb=0&uam=&uap=macOS&uapv=13.1.0&uaw=0&_s=1&sid=1674495851&sct=7&seg=1&dl=https%3A%2F%2Fdenisrasia.com%2F&dt=Denis%20Rasia%20%7C%20Consulente%20Digital%20Analytics&en=page_view&richsstsse

Questo invece è un esempio di come una pagina visualizzata viene salvata in Google BigQuery da Google Analytics 4.

!https://denisrasia.com/wp-content/uploads/2023/11/image.png

Senza entrare nel dettaglio di ogni singolo parametro, l’esempio sopra vuole mostrarvi quanto sia asettico il dato che viene generato. Si tratta di: che azione sta facendo l’utente, dove (in che pagina ad esempio) e quando (data e ora), assieme ad una serie di numeri identificativi che, messi assieme, collegano tutte le azioni fatte dall’utente in un cookie.

Ecco perché c’è parecchia attenzione al mondo dei cookie e dei consensi. Senza quelli analitici (ne parleremo più avanti) sarà impossibile unire tutti quei singoli ping perché ad ogni caricamento di pagina tutto si resetta.

Le piattaforme di web analytics

Sono disponibili molte piattaforme di analisi web, che puoi scegliere dalle tue esigenze e dai tuoi obiettivi. Alcune popolari piattaforme di web analytics sono:

  • Google Analytics: si tratta di una piattaforma gratuita che fornisce un’ampia gamma di dati e strumenti di analisi, comprese informazioni sul traffico del sito, sul comportamento degli utenti e sulle conversioni.
  • Adobe Analytics: si tratta di una piattaforma a pagamento che offre strumenti avanzati di analisi e visualizzazione dei dati, nonché l’integrazione con altri prodotti Adobe come Adobe Experience Manager.
  • Mixpanel: questa è una piattaforma gratuita con piano a pagamento per sbloccare le funzionalità avanzate che si concentra sull’analisi approfondita del comportamento degli utenti e delle canalizzazioni di conversione.
  • KISSmetrics: piattaforma a pagamento che fornisce un’analisi dettagliata del comportamento degli utenti e include funzionalità come l’analisi di coorte e il test A/B.

Scegliere una piattaforma di web analytics

Anche se Google Analytics sembra la scelta più ovvia, la decisione finale può dipendere dalle necessità aziendali, dal tuo budget, dall’analisi e dalle possibilità di remarketing. Può essere utile rivedere le funzionalità e i prezzi di diverse piattaforme per determinare quale sia la migliore per la tua attività.

Facendo alcuni esempi di necessità:

Quanti visitatori ho avuto e quanto hanno comprato. Non faccio attività promozionali.

Questa è la domanda più semplice e non ha bisogno di particolari strumenti. La reportistica integrata degli strumenti, come ad esempio Shopify Analytics, può andare bene.

Visitatori, canali principali e azioni principali. Non voglio fare affidamento a cookie di analytics.

In questo caso, se la necessità principale è la privacy degli utenti, si possono valutare soluzioni cookieless come Plausible Analytics e Fathom Analytics.

KPI principali, ma i dati devono risiedere all’interno dell’unione Europea

La soluzione più comune è Matomo AnalyticsMixpanel e Amplitude sono due soluzioni premium che permettono di scegliere se il progetto deve aver sede in EU o US.

Identificazione dell’utente e condivisione con altri strumenti di marketing

Mixpanel permette di ricreare le identità dell’utente raccogliendo l’indirizzo email e creandone coorti da condividere in automatico con altri strumenti di marketing.


5 – coming soon


6 – coming soon


Modelli di attribuzione nel digital marketing

Di chi è il merito e perché

Ad un certo punto della storia del vostro negozio online avrete più canali di marketing attivi con vari investimenti sopra, e questi canali vi porteranno delle vendite.

Una delle domande più comuni che potete farvi è capire quali sono i canali migliori e quali sono dei rami secchi, domanda che apre a due problemi tipici del digital marketing:

  • Cosa si intende per canale “migliore”
  • Con quale criterio decido di aumentare o diminuire gli sforzi su un canale

Un metodo comune è il last touch, più precisamente *ultima interazione non diretta:*l’ultimo canale che non sia il diretto prende il merito della conversione. Ad esempio entro da una campagna Meta, acquisto, il merito va a Meta.

I modelli di attribuzione più comuni

Ci sono diversi modelli di attribuzioni e qui ne elenchiamo alcuni:

  • first touch o prima interazione: il 100% del credito va a chi ha portato, per la prima volta, l’utente nel sito.
  • last touch o ultima interazione: il 100% del merito va a chi ha portato, per l’ultima volta prima della conversione, l’utente nel sito.
  • linear o lineare: il merito viene diviso equamente tra tutti i canali
  • time decay: il merito viene diviso tra tutti i canali, con maggior credito a quelli più recenti, la modalità lineare.
  • modello a U: il primo e ultimo canale ricevono l’80% del credito, gli intermedi si distribuiscono il rimanente 20%.

Questi sono solo i modelli più comuni.

Possono esserci modelli di attribuzione specifici a seconda della piattaforma di analytics che utilizzerete, ad esempio Google Analytics 4 da settembre 2023 usa solo last touch e il suo modello proprietario Data Driven Attribution.

Difficoltà nell’attribuzione

Tutto questo si basa anche sulla possibilità di riconoscere l’utente tra più visite attraverso dei cookie. Abbiamo visto all’inizio quanto il dato “originale” sia in realtà povero e che ha bisogno di identificatori e di collanti per essere utile.

Questo vi aiuta a capire quanto l’attribuzione sia un mestiere difficile: lo stesso utente che visualizza e aggiunge al carrello dallo smartphone, ma poi lo abbandona e chiude l’acquisto sul suo portatile sono per i sistemi di digital analytics due persone diverse.

Considerando che l’Italia è un paese con più schermi che abitanti, la casistica sopra si può considerare comune.

L’unica possibilità in un mondo multi-device per tenere il filo è di avere una funzionalità di login nel proprio sito, come l’area riservata o il percorso di pagamento.

Come trovare il miglior modello di attribuzione

Non c’è una regola unica, tutto dipende da chi siete e da come conoscete il vostro cliente.

Il modello più diffuso è il last touch ma, rivedendo lo scenario multi device sopra descritto, non può essere sempre rappresentativo del vero percorso dell’utente.

Anche considerando che un utente tende a cercare e confrontare prima dell’acquisto, il canale che ha portato l’utente la prima volta può essere tanto importante quanto il canale che chiude l’acquisto.

Se sei in fase di startup e hai bisogno di farti conoscere, attribuire al primo canale aiuta capire quali fonti stanno creando un pubblico pagante (per comodità pensiamo sempre all’obiettivo di vendita). Allo stesso tempo il last touch è valido se l’attività ha bisogno di chiudere vendite in un tempo breve.

Un modello a U dove si considera sia il primo che l’ultimo touchpoint diventa interessante perché permette di sapere quale canale mi ha portato il cliente e quale canale ha aiutato a chiudere la vendita.

Per scegliere un modello di attribuzione si deve quindi valutare:

–       il ciclo di acquisto del cliente e la sua durata.

–       la strategia di crescita che si vuole adottare.

Strumenti come Google Analytics permettono di testare e confrontare i risultati di diversi modelli di attribuzione.


Raggiungere l’utente

Il messy middle di Google

Anche se parlando di funnel tendiamo a pensare ad un percorso lineare, la realtà è decisamente diversa. Definita da Google come “messy middle” doppiamo capire che mentre la fase iniziale d’acquisto è abbastanza semplice e lineare, tutto quello che si sta nel mezzo e prima dell’acquisto è complicato, confuso e dalle diverse sfaccettature.

““Con la diffusione di Internet, il Web si è trasformato, passando da essere uno strumento per confrontare i prezzi a uno strumento per confrontare praticamente qualsiasi cosa.””

In questo messy middle ci sono molte sfide da superare, come creare esperienze personalizzate, mantenere la fedeltà del cliente, ottenere feedback e gestire le aspettative. Per superare questa fase, è importante avere una buona comprensione del cliente e delle loro esigenze, mantenere una comunicazione efficace e adattarsi continuamente per garantire una customer journey positiva e soddisfacente. E per farlo servono dati.

Remarketing

Il remarketing è una tecnica di marketing che consiste nel raggiungere utenti che hanno già interagito con un’azienda o un sito web.

Dati di prime parti e di terze parti

Fino ad adesso abbiamo genericamente parlato di “dati”, è ora di fare un distinguo tra dati e dati.

Abbiamo visto all’inizio quanto il dato generato da/per uno strumento di web analytics sia in realtà molto “secco” e il valore delle piattaforme di web analytics risiede nella capacità di mettere in relazione tutti questi puntini e di riattivare gli utenti.

Ci sono informazioni che la digital analytics non può raccogliere come le informazioni demografiche e e gli interessi delle persone: questi sono dati di terze parti, raccolti, lavorati e forniti da terzi.

Senza entrare nel mondo dei cookie di prime e terze parti, e dei dati di prime e terze parti, la cosa importante da sapere è:

  • I dati di prime parti sono quelli che hai raccolto e che puoi gestire direttamente.
  • I dati di terze parti sono raccolti e mostrati da altri.

Si potrebbe sintetizzare in:

  • dati che hai.
  • dati che gli altri ti lasciano usare.

In realtà questa è una sovrasemplificazione, ma rimaniamo sul fatto che i dati di prime parti sono tipicamente migliori dei dati di terze parti per due motivi: più accurati e tendenzialmente gratuiti: chiunque può raccogliere i dati degli utenti con l’opportuno sistema e i dovuti consensi di privacy. In contrasto, i dati di terze parti sono solitamente forniti da altri e/o acquistati.

Data for discounts: la caccia alle email

Secondo Capterra, l’85% della gen z scambierebbe la propria email per uno sconto. e navigando online si nota che quasi ogni sito ha fame dell’indirizzo email dei visitatori.

L’indirizzo email è un dato di prime parti per eccellenza. Vi fornisce un contatto diretto con il cliente e vi aiuta a capire chi e. Negli strumenti di digital analytics è la chiave per creare un’area riservata e passare da un identificativo anonimo a pseudo anonimo.

Se il vostro utente usa sia uno smartphone che un portatile per navigare, Google Analytics 4 ad esempio se opportunamente configurato con la User Id può unire i dati tra i due dispositivi.

Ma anche semplicemente salvare la mail in un database come Mailchimp è già un passo avanti per avere i propri dati di prime parti: dati che se arricchiti con i comportamenti d’acquisto del vostro Shopify possono essere utilizzati in maniera precisa per riattivare i vostri utenti.


Audiences, segmenti e riattivazioni

Il traffico è un tipo di dati che viene spesso menzionato. E’ in effetti il primo indicatore di come sta funzionando il nostro negozio Shopify.

E’ importante aggiungere che: il dato, se non viene segmentato, diviso, ragionato, confrontato, è utile fino ad un certo punto: il totale del traffico che sale è un buon segnale, ma se sale il traffico di persone che hanno abbandonato il carrello è un segnale meno buono.

Quando si pensa ad un funnel come l’AARRR sopra citato, si pensa ad una serie di azioni che l’utente può compiere nel sito.

Ragionare su queste azioni può portare il dettaglio che fa la differenza.

Esempi di audiences e possibilità di riattivazioni

Carrelli abbandonati

A seconda della piattaforma, potete isolare gli utenti che hanno fatto l’azione di aggiungere un prodotto al carrello, ma non hanno ancora fatto l’azione di acquistarlo.

Analizzando per utenti si includono più visite, quindi gli utenti che nella prima visita aggiungono al carrello e che nella seconda visita comprano non vengono inclusi.

Con Google Analytics 4 queste persone potranno essere raggiunte tramite Google Ads. Con Mixpanel si potrebbe andare a popolare automaticamente una lista di Mailchimp per ricontattarli tramite email.

Coupon rilasciato ma nessun acquisto fatto

Se in una pagina è possibile ricevere un coupon, si può considerare un’audience per gli utenti che hanno ricevuto il codice (ad esempio registrandosi alla newsletter) e non hanno fatto ancora acquisti con un coupon.

Google Analytics 4 può dividere tra gli acquisti con o senza coupon, mentre un evento può segnalare se l’utente ha un codice.

Lettori di newsletter

A seconda di come viene misurato il traffico da campagne di newsletter, si può considerare un audience che raggruppi gli utenti che sono entrati più volte da una newsletter ma che ancora non hanno fatto, oppure hanno fatto, una particolare azione.

Utenti che hanno utilizzato la wishlist ma non hanno comprato

Per aggiungere un prodotto alla wishlist, un utente deve fare un’azione che può essere tracciata come evento.


Migliorare l’esperienza d’acquisto con i dati

Il vostro Shopify è un negozio a tutti gli effetti e se vogliamo aiutarci con una metafora anche in un negozio virtuale è doveroso migliorare l’esperienza dell’utente, dalla porta d’ingresso fino alla cassa.

Ma se in un negozio fisico è possibile vedere cosa fanno le persone, anche in un negozio virtuale è possibile osservare più da vicino il loro comportamento andando oltre ai grafici e alle tabelle.

Heatmap

Gli strumenti di heatmap (oppure anche mappe di calore) forniscono una rappresentazione visuale dei clic e dei movimenti del mouse su una particolare pagina, ad esempio:

!https://denisrasia.com/wp-content/uploads/2023/11/image-1.png

La Heatmap qui sopra mostra gli elementi più cliccati è “Accetta” sul cookie banner, la voce “consulenza” e il logo in alto a sinistra. Il numero è un indice per collegarlo a maggiori informazioni sull’interfaccia dello strumento.

In sé gli strumenti di heat mapping sono poco utili se servono solo per vedere quanti click e dove vengono fatti. Andrebbero usati per individuare due fenomeni:

  • Click non previsti: quindi tentativi di interazione dove non è prevista. Nello screenshot sopra vediamo dei click nel titolo del sito. Può essere un tap da tablet per fare uno scroll in giù, oppure l’utente si aspettava
  • Rage clicks: click ripetuti rapidamente nello stesso punto, simbolo di frustrazione da parte dell’utente. Possono succedere sia quando l’utente si aspetta un’interazione dove non c’è, sia dove l’interazione è troppo lenta o fuori funzione.

Una manifestazione classica di rage click avviene quando l’utente clicca la cta per aggiungere il prodotto al carrello, ma non c’è nulla che gli faccia capire che il prodotto è stato aggiunto: non c’è un messaggio di conferma, non si aggiorna il numero sul carrello, il pulsante non cambia colore, nulla. Anche se tecnicamente il prodotto è nel carrello, l’utente non ha modo di capire se effettivamente è nel carrello e tenterà più volte di cliccare correndo il rischio dell’abbandono del carrello..

Una delle prime cose da fare per migliorare l’esperienza del sito, a mio avviso, è proprio quella di cercare i click che non vanno a buon fine.

Microsoft Clarity è uno strumento gratuito fornito da Microsoft che permette sia l’analisi per heatmap, sia per session recording. Chi si accontenta di fare analisi per singola pagina può impostare Microsoft Clarity in modalità Cookieless e valutare se attivarlo senza aspettare la cookiebar.

Il limite delle heatmap

Le heatmap sono utili per scopi ben precisi: rispondere alla domanda “dove cliccano” e se ci sono problemi nel click. Hanno anche quello che trovo sia un grande limite: non fanno capire la sequenzialità degli eventi.

Credo che sia importante capire anche la sequenzialità degli eventi perché non è detto che tutti i click siano buoni.

Gli strumenti di heatmap come Microsoft Clarity hanno anche una funzione di session recording che aiuta a ricostruire il movimento del mouse sullo schermo e quindi a capire cosa fa effettivamente l’utente.

!https://denisrasia.com/wp-content/uploads/2023/11/image-2.png

Nell’esempio sopra l’utente cercava il modulo di contatto, ma ha prima preferito vedere la mia biografia per capire chi sono.

In un progetto che ho seguito in passato, le heatmap mostravano che l’utente scrollava in fondo in tutte le pagine di un percorso di registrazione con moduli molto lunghi. Le sessioni di registrazione mostravano che l’utente continuava a risalire la pagina perché si perdeva nel processo di registrazione.

Se la heatmap poteva far intendere un segnale positivo, la sequenzialità mostrata nella registrazione di sessione ha evidenziato un problema.

Strumenti per le heatmap

  • Microsoft Clarity: strumento gratuito per heatmap e session recording con integrazione a Google Analytics.
  • Hotjar: è uno strumento completo che consente di registrare le sessioni degli utenti, creare sondaggi e indagini, analizzare i heatmap e ottenere feedback dagli utenti.
  • Mouseflow: è uno strumento di registrazione delle sessioni degli utenti che consente di creare heatmap, sessioni di registrazione, feedback degli utenti e analisi dei form.
  • SessionCam: è uno strumento di registrazione delle sessioni degli utenti che consente di creare heatmap, sessioni di registrazione, feedback degli utenti e analisi dei form e di generare report di analisi dei dati.
  • Smartlook: è uno strumento di registrazione delle sessioni degli utenti che consente di creare heatmap, sessioni di registrazione, feedback degli utenti e analisi dei form, e supporta l’integrazione con diverse piattaforme analytics.

Sperimentazione e AB Test

Nessuna impresa è statica, nessuno evita di provare, tantomeno un good business. Quotidianamente dovrebbe venire la curiosità di sperimentare, di chiedervi “cosa cambia se”.

La sperimentazione è possibile anche in un negozio online come Shopify grazie agli AB test: un metodo usato per confrontare due versioni di una pagina web per determinare quale versione sia più efficace a seconda del kpi scelto.

Il test consiste nel mostrare casualmente la versione A o la versione B del prodotto o del servizio a due gruppi di utenti differenti (gruppo di controllo e gruppo di sperimentazione) e quindi confrontare i dati raccolti per vedere qual è la versione che ottiene i migliori risultati in termini di metriche selezionate (ad esempio tasso di conversione, tasso di rimbalzo, tasso di clic, ecc.).

La versione che ottiene i migliori risultati diventa la versione di riferimento per la versione successiva del prodotto o del servizio, mentre l’altra versione viene scartata o modificata.

Il principio base di un AB test è quello di utilizzare l’apprendimento automatico per verificare l’ipotesi di cambiamenti progettuali. È una metodologia efficace per ottimizzare i propri processi aziendali ed incrementare le performance dei propri prodotti o servizi.

Come funziona un test

Un test inizia con una formulazione di un’ipotesi, una possibile soluzione ad un possibile problema. Ad esempio: se alzo la posizione del pulsante “Aggiungi al carrello”, allora gli utenti lo vedranno meglio aumentando l’evento di click e ridendo le visite senza azioni d’acquisto.

L’ipotesi è quindi una frase formulata così: faccio x, allora risolverò y. O ancora meglio, viste le evidenze z, se faccio x allora risolverò y.

Le ipotesi dovrebbero appunto partire da una qualche evidenza: ad esempio si nota sulla piattaforma di digital analytics che il funnel ha un collo di bottiglia, o si è fatto un piccolo focus group e qualche utente ha notato un problema.

Questo se / allora deve essere molto preciso nella sua formulazione. Ricordatevi del concetto di funnel: è a mio avviso poco utile testare un cambio in home page per migliorare gli acquisti. È sicuramente una metrica valida, ma ricordate anche che tra una home page e un acquisto si sono ancora diverse cose che possono essere ottimizzate.

Una volta decisa l’ipotesi si faranno dei calcoli per capire:

  • qual è il miglioramento minimo per cui il test abbia senso
  • degli utenti complessivi, quanti ne voglio portare a test
  • quando traffico mi serve
  • quanto deve durare il test

L’obiettivo delle analisi pre-test è vedere se un risultato è ottenibile e se ne vale la pena lanciarlo. Capire ad esempio il miglioramento minimo vuol dire sapere quando il risultato ottenuto è “statisticamente valido” o se è frutto di fortuna.

L’importanza dei dati validi per un test

Quando si fanno dei test ci sono 2 + 1 tipologie di errore:

  • Errore di tipo 1: respingo la versione originale anche se era la migliore
  • Errore di tipo 2: accetto la versione alternativa anche se non era la migliore

a cui si aggiunge:

  • Errore di tipo 3: fare la domanda sbagliata

Entrare nel dettaglio degli ab test richiederebbe un libro a parte, oppure la consultazione di Design with Data (edito da O’Reilly), la base essenziale da sapere è questa: se non si hanno buoni dati non si possono fare buoni test e, soprattutto, se l’ipotesi è vaga, vaga sarà l’utilità del test.

Strumenti per l’A/B Testing

  • Optimizely: è una piattaforma di ottimizzazione della conversione che consente di creare e testare varianti delle pagine del sito web, nonché di creare test A/B e multivariati.
  • VWO: è un’altra piattaforma conversion rate optimisation che consente di creare e testare varianti delle pagine del sito web.
  • AB Tasty: è una piattaforma di ottimizzazione della conversione che consente di creare e testare varianti delle pagine del sito web, nonché di creare test A/B e multivariati e personalizzazione del contenuto.
  • Google Optimize: è uno strumento gratuito offerto da Google che consente di creare e testare varianti delle pagine del sito web. Lo strumento verrà però dismesso a settembre 2023.

Hai davvero bisogno di fare A/B Test?

La risposta a questa domanda è dipende. L’A/B test gode di una fama basata sul rigore scientifico il che richiede tempo e traffico:

  • traffico: i test per avere quella significatività statistica hanno bisogno di numeri, che in altre parole significa traffico.
  • tempo: preparare un test, verificare che ci siano le condizioni per lanciarlo, richiede molto tempo. Inoltre, la durata di un test dovrebbe essere di almeno 4 settimane.

Non è così raro che un test risoluti inconclusivo: non c’è traffico sufficiente e/o non si evidenza una preferenza da parte degli utenti, risultando in test che non riescono a fornire un risultato neanche dopo qualche mese.


Chiudere il cerchio con i parametri UTM

Questa è stata una guida volutamente generica, raramente ci siamo addentrati sugli aspetti tecnici perché, prima ancora di pensare a codici e piattaforma, è utile avere una conoscenza generale delle possibilità di utilizzo dei dati per il vostro ecommerce Shopify.

Usiamo questa ultima parte per racchiudere alcuni concetti chiave in un aspetto che ritengo sia molto importante: riuscire a unire tutti i puntini per chiudere il cerchio.

Le azioni degli utenti prendono luogo su più posti, in più momenti. Anche ricollegare i punti all’interno dello stesso portale può essere difficile: cookie con domini diversi, piattaforme con criteri di attribuzione diversa, e via dicendo.

Vediamo qui alcuni metodi per chiudere il cerchio.

Parametri UTM

I parametri UTM (Urchin Tracking Module) sono una serie di informazioni che vengono aggiunte ad un indirizzo di destinazione, quindi quando si cerca di portare l’utente da A a B.

E’ importante sottolineare che A e B sono due domini, luoghi, piattaforme diverse. Due percorsi ben distinti nel funnel, non due pagine diverse all’interno dello stesso e-commerce Shopify. Se si vuole sapere quanto un elemento viene cliccato, si deve far ricorso ad un evento.

Ci sono cinque parametri a disposizione:

  • utm_source: il nome della fonte del traffico
  • utm_medium: la tipologia di fonte
  • utm_campaign: il nome della campagna
  • utm_term: il termine di ricerca (ad esempio se si fa campagna su un motore di ricerca)
  • utm_content: il contenuto cliccato

A seconda della piattaforma di digital analytics scelta si possono usare tutti o solo alcuni parametri. Di solito source, medium e campaign sono necessari, mentre term, content sono facoltativi.

I parametri diventano davvero utili quando hanno un criterio di scelta alla base, base che accompagna i vostri sforzi marketing. I parametri, quando usati congiuntamente, permettono di aggregare e segmentare i dati con facilità.

Per fare un esempio, se una campagna si estende su una vostra newsletter, su meta e su twitter, utm_campaign sarà uguale per tutti: in questo modo posso avere un riassunto dei risultati per campagna. utm_source indicherà successivamente quanto, di quella campagna, appartiene alla lista newsletter, a meta e a twitter.

User ID e identity resolution

Se prevedete un’area riservata, è possibile che l’utente si faccia riconoscere attraverso un login.

Questo a mio avviso è il metodo migliore per conoscere l’utente perché non dipende dalla generazione e dalla rilettura di un cookie, cookie che non può essere condiviso tra dispositivi diversi e/o tra domini diversi.

A seconda della soluzione tecnologica utilizzata, questo può avvenire con elementi diversi. Ad esempio Google Analytics proibisce l’utilizzo di informazioni personali e consiglia l’uso di un identificatore alfanumerico. Mixpanel invece permette di raccogliere l’indirizzo email e di integrarlo con altre piattaforme per l’automatizzazione di alcune procedure.

Attenzione a verificare con il vostro consulente legale di avere i consensi e i permessi per tracciare il vostro utente attraverso l’user Id. Soprattutto se pianificate l’uso di una customer data platform come Segment o di una piattaforma di digital analytics come Mixpanel dove si cerca di ricostruire l’identità dell’utente con l’indirizzo email, verificate sia di avere i consensi corretti, sia di evitare dark patterns (colloquialmente: giochetti, escamotage) per ottenere gli indirizzi email.

Dopo i cookie di terze parti, ora l’attenzione è forte anche per la raccolta degli indirizzi email come evidenzia questo articolo del NYT: Everyone Wants Your Email Address. Think Twice Before Sharing It. – The New York Times

Tracciamento inter-dominio

Abbiamo più volte nominato i cookie come un collante di tutti i ping che vengono inviati alla piattaforma di digital analytics. I cookie sono però di prime parti, quindi legati al singolo dominio di secondo livello (es denisrasia.com o digitalanalytics.wtf).

Se nel vostro funnel prevedete che l’utente deve navigare in due o più siti di vostra proprietà, allora dovete prevedere di mantenere il filo tra questi due domini.

In Google Analytics si chiama Cross Domain Tracking, in altre piattaforme può prendere nomi diversi.


Conclusioni

Scrivere questa guida è stato un lavoro non indifferente, nello scrivere, nello scegliere le informazioni ma soprattutto nel farla in modo che vi accenda una lampadina sulle possibilità che avete davanti.

Volutamente non sono entrato nel tema tecnico: online ci sono tutti i tutorial necessari, ci sono consulenti (come me) che vi possono aiutare, ci sono novità ogni settimana.

Però non è così facile trovare lo spirito imprenditoriale, come il tuo che stai leggendo questa guida, lo spirito che da una possibilità muove un motore d’impresa.

Spero di averti dato un set di Lego da aggiungere al good business che citavo all’inizio.

E quello che davvero spero l’ho trovato in una citazione della newsletter di Donata Columbro:

Nel 2018 lanciavo il mio sito internet e un servizio di consulenze per ong con un post in cui citavo l’esperienza di Niki Nakayama, chef del ristorante N/Naka di Los Angeles, che in una puntata Chef’sTable confessava di tenere taccuini con informazioni aggiornate su ogni cliente del ristorante:

“Quando un cliente torna nel mio ristorante, so già che cosa ordinerà. Così gli servo qualcosa mentre si accomoda al tavolo e in questo modo gli ospiti rimangono sempre stupiti. Mi chiedono Come lo sapevi? Siete miei clienti, è naturale che io sappia cosa vi piace.”

— Niki Nakayama

Raccogliere i dati giusti è fare un buon marketing, fare un buon business, incontrare bene i vostri clienti.

I dati vi aiutano a capire chi sono i vostri utenti, chi siete voi per i vostri utenti. Sempre rispettando la loro privacy.

Dati e-commerce per dummies

I dati sono il risultato dei comportamenti umani. Come persone, li generiamo e li lasciamo dietro di noi, spesso senza nemmeno rendercene conto. I dati sono presenti ovunque e per chi lavora online sono una risorsa preziosa.